mercoledì 20 ottobre 2010

Uomini di Dio

di Xavier Beauvois (in sala dal 22/10/2010). Per iniziare: questo film ha vinto il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes di quest'anno ed è candidato all'Oscar per la Francia come Miglior Film Straniero. Proseguiamo: lo sappiamo che un film che parla di monaci, denunciandolo fin dalla locandina, nelle vostre teste è paragonabile a una zappata sui maroni. Come darvi torto? La prima cosa da dire su questo film infatti è che non è un film per un tutti (non che non ci potete portare i vostri figli - certo anche quello se non volete che crescano odiandovi per quella palla al c***o che li avete trascinati a vedere da infanti- ma nel senso più vasto del termine). Uomini di Dio è un film per occhi allenati e per gente che ben sopporta i film lenti, meditativi e con una narrazione ai limiti del dotto. Questo per calarvi immediatamente nel contesto. Quindi se già avete capito che non è roba per voi, fermatevi nella lettura del post.
Il regista Xavier Beauvois si ispira liberamente alla tragedia di Tibhirine (1996) in cui sette monaci francesi di un monastero in Algeria furono rapiti da un gruppo della GIA (Gruppo Islamico Armato) e assassinati. La pellicola non si focalizza tanto sul rapimento, quanto sulla vita quotidiana di questa piccola comunità, vissuta nella preghiera, nel lavoro della terra e nell'aiuto della popolazione locale. Quello che il regista sembra voler fare con la sua messa in scena è capire, trovare una motivazione, a quello che è accaduto. Lo fa anche mostrando in maniera magistrale il lato umano di questi monaci, la paura di fronte alla missione a cui sono chiamati a rispondere: stare o fuggire? La decisione però deve essere presa in maniera corale e qualsiasi sarà la risposta avrà delle conseguenze irreparabili. Perché se stare vuol dire correre verso la morte, abbandonare significa lasciare il piccolo villaggio che tutelano con la presenza del convento alla mercé della GIA. Beauvois si focalizza su quello che accade all'interno del gruppo, ma anche del singolo, che riassume magistralmente nella sequenza dell'"ultima cena", in cui una gamma di sentimenti diversissimi passano nei cuori e sui volti dei protagonisti, dalla gioia al dolore, dall'amore alla paura, davanti a un bicchiere di vino  - strappo alla regola - e ascoltando, al posto di passi religiosi, La Morte del Cigno di  Čajkovskij. Indubbiamente un bel film d'autore, una sorta di messaggio di pace - la  possibilità di trovare un terreno comune di fratellanza e spiritualità tra cristianità e islam -, ma non adatto a palpebre deboli. 

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