martedì 8 marzo 2011

Rubber

di Quentin Dupieux. Chi non sapesse chi è Dupieux si può fare una mini ripassata dei suoi lavori video qui oppure, per quanto riguarda la "carriera musicale",cercare sotto la voce Mr.Oizo. Abituata alla follia dei suoi videoclip, appena sentito che Dupieux era dietro alla macchina da presa,intento nella realizzazione del suo primo lungo, mi ero detta che qualcosa fuori dagli schemi se lo sarebbe inventato, ma mai avrei pensato che avrebbe tirato fuori un film in cui il protagonista principale è una ruota...
Del nonsense che attraversa tutta la pellicola, Dupieux ci fa partecipi già dall'inizio del film, dove uno dei poliziotti che poi vedremo attivo nella vicenda narrata, fa un monologo rivolto alla camera - e quindi al pubblico - in cui si fa delle domande sui film tipo "Perché ET era marrone? Perché in JFK di Oliver Stone il presidente viene assassinato da uno sconosciuto?...": la risposta che si dà, è sempre "No Reason", aggiungendo che il pubblico non se lo chiede mai, ma tutti i film contengono elementi di "No Reason", forse perché anche la vita ne è piena. Iniziando da questa sua teoria, poi la racconta visivamente: siamo nel deserto e ad una comitiva di "spettatori" vengono distribuiti dei binocoli con cui potranno assistere alla storia della ruota killer, un copertone che prende vita, rotola e miete vittime iniziando a vibrare "incazzato" per poi fare letteralmente esplodere i malcapitati. Per circa un'ora e mezza Dupieux ci fa rimanere incollati allo schermo mettendo in scena una sorta di thriller surreale, un poliziesco con tanto di vittime e ricerca del colpevole, inserendoci anche elementi di romance e violenza spinta (le esplosioni di animali e teste sono da mani sugli occhi). Non si esime nemmeno dal rendere il suo pubblico protagonista, esplorando i territori un po' dotti del metacinema, in cui gli spettatori diventano vittime non della storia narrata, ma del suo regista che gioca con loro come un cinico carnefice. Cinema indipendente e sperimentale quello di Dupieux, che persegue una filosofia "coeniana" spingendola al massimo, ma che traccia un percorso narrativo circolare, giocato su quella serie di elementi che propone e chiude. O forse no... Perché il nonsense non può avere una fine e quindi il tutto può essere rimesso in gioco. 
VOTO: 8

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