sabato 13 marzo 2010

The Ghost Writer



di Roman Polanski (uscita in sala il 9/4/2010). Quanto la storia (quella con la S maiuscola) che conoscete è quella realmente accaduta e quanto invece è frutto di quello che vi hanno voluto raccontare? Vincitore dell'Orso d'argento all'edizione di quest'anno del Festival di Berlino, The Ghost Writer (in ITA. L'Uomo nell'Ombra) è un thriller "politico" di tradimenti e inganni realizzato con maestria da uno dei registi più controversi del cinema contemporaneo. Facciamo un passo indietro. Cos'è un ghostwriter? Un mix di creatività e prostituzione letteraria, ovvero colui che nella maniera più autorale possibile si presta a scrivere al posto di qualcun altro che poi ci mette la firma, che sia l'autobiografia di un personaggio noto o un romanzo al posto di un scrittore famoso (i casi sono molti). 



Quando un noto ghostwriter londinese (E. McGregor) accetta di completare la biografia dell'ex primo ministro inglese Adam Lang (P. Brosnan), capisce che non sarà un lavoro semplice, tant'è che il suo predecessore è morto in un misterioso incidente, ma la paga e la prevista fama sono un motivo più che sufficiente per rischiare. Arrivato su una piccola isola della costa orientale degli U.S.A., dove il presidente è alloggiato provvisoriamente, sarà sballotato dagli eventi, visto che Lang viene accusato di aver consegnato dei sospettati terroristi alle torture della C.I.A., ma anche a segreti oscuri che collegano il politico all'intelligence. 
The Ghost Writer è tratto dall'omonimo romanzo del noto scrittore e giornalista britannico Robert Harris (che ha partecipato alla stesura della sceneggiatura) e segna il ritorno di Polanski al thriller ambientato ai nostri giorni dopo 20 anni di lontananza. Polanski è davvero bravo a far crescere suspense nello spettatore, in cui riesce anche ad attivare un meccanismo di curiosità nella ricostruzione del complesso puzzle che mette in scena, permettendogli di identificarsi facilmente con il protagonista-il ghostwriter. Nonostante il film, così come era stato per il libro, faccia supporre una sottintesa critica alla politica di Tony Blair, Harris aveva già precisato che l'idea per la storia gli era balenata anni prima che Blair diventasse Primo Ministro (ci crediamo? ah ah ah). Alcune battute di sceneggiatura mi farebbero sostenere una teoria diversa (vedi l'anziano del paese che insulta il Ministro Britannico perché si è venduto alla politica dell'incompetente Presidente U.S.A.), ma facciamo che ci hanno giocato benone dai... Sta di fatto che il destino di Lang nella pellicola è lungi da quello avuto da Blair (un'altra metafora forse? o un paradosso?) ed è l'unica nota vagamente dolente che ho trovato. Coerente, ma un po' troppo spiccia. 
Polanski inscena una storia molto hollywoodiana (che si rispecchia anche nella scelta degli attori) per i suoi canoni, ma da cui si distacca, riuscendo a tornare al suo personalissimo modo di raccontare attraverso la costruzione di un'atmosfera e uno sguardo rivolto a tematiche che forse al cinema americano ormai piace meno raccontare, come la collaborazione clandestina con il governo U.S.A. o la tortura di sospettati prigionieri politici.


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