mercoledì 25 maggio 2011

The Hunter

di Rafi Pitts (in sala dal 17/6/2011). In concorso alla 60ma Edizione della Berlinale e al Torino FF, dal film di Pitts mi aspettavo molto di più. Siamo in Iran: Ali (interpretato dallo stesso regista) è un uomo appena uscito di galera. Costretto a turni notturni da guardiano in una fabbrica, cerca di trascorrere più tempo possibile con la moglie e la figlia nata durante il suo periodo di prigionia. Ali ha anche un altro passatempo: la caccia. Improvvisamente, la sua vita prende una piega tragica: la moglie viene uccisa durante uno scontro tra polizia e manifestanti, mentre della figlia non ci sono tracce. Non vi dico di più, altrimenti svelo la storia e cercherò di parlarne senza far trasparire nulla, anche se sarà difficile, perché il problema del film di Pitts è proprio che mette troppa carne al fuoco, non sviluppando però bene dei passaggi di trama. 
L'inizio per esempio ci suggerisce che quello che stiamo andando a vedere è qualcosa che riguarda il rapporto Iran-U.S.A.: sui titoli di testa viene mostrata una foto di un gruppo di motociclisti che sono in posa davanti a una bandiera americana disegnata sull'asfalto (saranno pronti a passarci sopra? Mah... Riguarda il passato del protagonista, il motivo per cui è finito in carcere? Mah...). Poi entriamo nella vita di Ali, forse l'aspetto meglio riuscito del film, un personaggio che fa trasparire da ogni espressione, dal tono della voce, dalla compostezza e dal movimento del corpo, il dolore e la disperazione: un ritratto meraviglioso della solitudine umana. La fotografia cupa e i paesaggi autunnali, ci fanno immergere man mano nell'incubo che vive: un non-luogo senza vie di fuga. Stiamo pensando di vedere un tipo di film, che ci porterà ad uno sviluppo politico, quello sopra citato. E invece, appena ci vengono fornite poche risposte in merito, la rivoluzione sulle strade dell'Iran e il passato del protagonista vengono abbandonati. Si entra in un'altra storia, con un passaggio tanto repentino e inaspettato, quanto spiazzante e abbastanza confuso (perché quella scena in cui la moglie dice di aver mentito sulla nascita della bambina? Perché lì e mai ripresa?). Ora il racconto è quello di un uomo portato alla follia dagli eventi, della ricerca disperata di un colpevole per il proprio dramma, un vortice psicologico che porterà Ali a decidere se vendicarsi su polizia o civili, parti in gioco quel giorno nella morte della moglie e su cui la polizia non sa ancora dare risposte (di chi era il proiettile che sparò?). Inizia la roulette russa. Ali spara. Le conseguenze sono catastrofiche. Ora siamo in un altro film: quello di un criminale che fugge e che braccato, scoprirà due aspetti diversi - nelle vesti di due poliziotti, uno corrotto, l'altro umano, o forse no? - del corpo di legge. Poi c'è il finale con il colpo di scena cercato. Nel mezzo una serie di silenzi e sequenze infinite, che ci stanno, ma che servono ad allungare una pellicola che tenta di essere profonda, ma alla fine risulta solo confusa. 
VOTO:

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